Fase 2: Quanto sta mutando il coronavirus?

Il vaccino ha senso se il virus muta così velocemente? E’ vero che sta diventando più pericoloso?

Adesso che la Fase 2 sembra entrare nel vivo molti si chiedono cosa accadrà e se l’attesa di un vaccino si dimostrerà vana. Vincenzo Paduano, data science e artificial intelligence specialist, attraverso il suo bollettino social quotidiano sull’andamento del Covid-19 dà il quadro della situazione.

 

Il virus sta mutando. Cosa vuol dire?
Non necessariamente la mutazione di un virus è una cosa negativa: il virus muta per sopravvivere, non per uccidere il suo ospite.

Nel grafico elaborato sulla base dei dati GISAID si vedono i ceppi (strains) italiani, che dunque, verosimilmente, si sono generati qui in Italia, e la data in cui sono stati identificati. E poi c’è la “divergenza”, ovvero “quanto sono diversi” rispetto al virus originariamente comparso a Wuhan.

Naturalmente, più il tempo passa, più ceppi emergono, e più sono diversi tra loro e dall’orginario.

Come si legge questa “diversità”?

Il genoma del virus SARS-CoV-2 è lungo poco meno di 30.000 (29.926) nucleotidi. Il ceppo italiano che è mutato di più (scoperto a marzo) ha circa 14 nucleotidi diversi rispetto al virus “originale” di Wuhan. Il resto è immutato.

Questo vuol dire che i ceppi attualmente in circolo sono identici tra loro al 99.9%. Per esempio, il genoma del coronavirus umano è uguale al 96.2% rispetto al genoma del coronavirus dei pipistrelli che per spillover è finito a noi esseri umani.

Insomma, il virus muta relativamente poco: stiamo parlando di un tasso di mutazione di circa 0.45 mutazioni per genoma per settimana.

Anche se il cambiamento è minimo, molte mutazioni di questo tipo possono non avere alcun effetto o addirittura arrivare a disattivare il virus, come rilevato anche dal professore Ivan Gentile. Naturalmente, quando succede non si diffonde più, e non lo veniamo a sapere: conosciamo solo le mutazioni che funzionano.

Quelle che funzionano, cioè che rendono diverso il virus, possono renderlo più aggressivo, ma anche meno fatale.

Potrebbe accadere che per caso una o poche mutazioni nei posti giusti creino un virus molto diverso, che potrebbe dare problemi a un eventuale vaccino; tuttavia, al momento questa non sembra un’ipotesi supportate dai dati. Le mutazioni esistenti al momento, non sembrano avere alcuna differenza di contagiosità rispetto al virus originale.

È dunque verosimile che anche nell’ipotesi, poco probabile, che emerga un mutante completamente diverso, il vaccino riuscirà comunque a fornire una immunizzazione di lungo periodo contro la stragrande maggioranza dei ceppi in circolazione.

 

 

 

Vincenzo Paduano – esperto in analisi dati

Phd in Bioinformatica e Biologia computazionale all’Università del Sannio. Data science e artificial intelligence specialist presso la startup Stip