Covid: dosaggio degli anticorpi post-vaccinali obbligatorio per gli operatori sanitari

Recenti evidenze sembrano confermare l’acquisizione di una risposta immunitaria già dopo la prima dose di vaccini Pfizer o AstraZeneca. La conclusione degli studiosi dell’Università di Oxford è che una singola dose vaccinale riduce del 65% il rischio d’infezione da coronavirus SARS-COV2. Tuttavia nemmeno il completamento del ciclo di vaccinazione (con doppia dose o con singola somministrazione come nel caso del vaccino Johnson & Johnson) garantisce l’acquisizione dell’immunità del 100% dei riceventi.

Proprio per questo, già in molte strutture ospedaliere, come il Policlinico dell’Università Federico II di Napoli, è previsto il dosaggio degli anticorpi post-vaccinazione al fine di non esporre gli operatori sanitari che non si sono immunizzati al rischio di venire a contatto con le cariche virali potenzialmente più elevate riscontrabili in ambito ospedaliero.

Tuttavia, il dosaggio degli anticorpi post-vaccinazione non è previsto in maniera sistematica da tutte le aziende sanitarie od ospedaliere, con ciò creando una grave disparità tra i lavoratori della Sanità. È invece opportuno e quanto mai necessario procedere a dosare la risposta anticorpale almeno negli addetti ai reparti e servizi clinici in tutte le strutture sanitarie pubbliche e private a distanza di due/tre settimane dal completamente del ciclo vaccinale. Addirittura la risposta anticorpale potrebbe essere già misurata tra i 14 e 21 giorni dalla prima somministrazione dal momento che gli operatori continuano a restare in servizio. È infatti possibile l’evenienza d’infezioni COVID anche ad esito infausto stante l’efficacia non al 100% dei preparati vaccinali attualmente disponibili. Tale possibilità è confermata dal recente decesso di un giovane infermiere romano a cui il vaccino non ha impedito di contagiarsi in servizio. Si tratta di “infortuni mortali” sul lavoro, riconosciuti e indennizzati come tali dall’INAIL, con una precisa clausola di presunzione d’infezione sul posto di lavoro: per gli operatori sanitari si presume per principio che il contatto col coronavirus sia avvenuto in servizio. Non è quindi escludibile l’emergere di profili di responsabilità a carico del datore di lavoro e certamente il dosaggio della risposta anticorpale al vaccino sarebbe utile anche in quest’ambito.

Al contempo è sempre opportuno non abbassare la guardia sul “testing” e continuare a sottoporre a tampone, almeno settimanalmente, tutti gli operatori sanitari in prima linea nelle strutture ospedaliere, nei laboratori, cliniche private ed RSA, dal momento che gli studi ad oggi pubblicati non escludono che il coronavirus SARS-COV2 possa essere comunque veicolato dai soggetti già vaccinati. A questo proposito, appare utile sottolineare ancora una volta, in vista delle graduali riaperture, la necessità di sottoporre a tampone diagnostico rapido o molecolare una o due volte a settimana anche tutti i lavoratori dipendenti e autonomi delle attività commerciali, industriali, artigianali e dei servizi.  Solo in questo modo saremo in grado di stanare il virus negli inconsapevoli portatori in cui si annida come il fuoco sotto la cenere (pronto a far ripartire nuovi incendi al venir meno delle restrizioni) e potremo quindi “riaprire in sicurezza” il Paese per tornare ad un’auspicata normalità.

 

 

Prisco Piscitelli

Medico epidemiologo e vicepresidente Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA)