Studio italiano: in 27 anni dimezzata mortalità per malattie cuore

Rebuzzi (Cattolica): “Un successo grazie a nuove terapie, stili di vita più sani, ma ancora pochi controlli della pressione”

“Il cuore ci regala un successo. In 27 anni la mortalità per malattie cardiovascolari è scesa del 53,3%. Un successo della medicina, delle nuove attrezzature ospedaliere, della consapevolezza, un po’ più diffusa, che quando si sta male è meglio rivolgersi al pronto soccorso nel più breve tempo possibile”. Lo afferma Antonio Rebuzzi, docente di Cardiologia all’Università Cattolica di Roma, in un approfondimento su ‘Il Messaggero’. A confrontare il numero degli attacchi con quello dei decessi ci ha pensato un gruppo di ricercatori guidato da Paolo A. Cortesi dell’Università di Milano-Bicocca e pubblicato su ‘European Journal of Preventive Cardiologa’. Gli autori hanno utilizzato i dati del periodo 1990-2017 provenienti dal database del Global Burden of Disease. il registro internazionale, finanziato dalla Fondazione Bill e Melinda Gates, che analizza l’incidenza, la prevalenza e gli anni vissuti con disabilità per 354 patologie in 195 Paesi, tra cui l’Italia. “Si sono soffermati in particolare sull’evoluzione delle malattie cardiovascolari nell’arco di questi 27 anni da noi valutando anche i differenti fattori di rischio alla base di ogni malattia – ricostruisce Rebuzzi – Tutto questo, va ricordato, prima della pandemia: in quest’ultimo anno e mezzo, infatti, è stata registrata una diminuzione del 55%degli interventi sul fronte della diagnostica, si è rilevata una riduzione del 75% circa degli ecocardiogrammi trans esofagei e degli esami per cardiopatia ischemica. Importante notare che il calo della mortalità è accompagnato ad una riduzione (-55,5%) del periodo di disabilità dovuto a malattie cardiache. Non solo quindi si esce vivi dall’attacco – sottolinea il cardiologo – ma si riesce anche a godere di una quotidianità tranquilla e senza ricadute. A patto, ovviamente, che il paziente segua le indicazioni dello specialista. Dal prendere i farmaci, alla dieta, al movimento”. “Ovviamente, dobbiamo segnalare anche il risvolto della medaglia – osserva il professore – Accanto alla buona notizia ce ne è una cattiva. Nonostante la riduzione di mortalità si è avuto un aumento, sempre nei 27 anni, di oltre un milione e mezzo dei cardiopatici (da 5,75 del 1990 a 7,49 milioni del 2017). Sono in aumento, per esempio, le malattie vascolari periferiche, cioè le alterazioni dei vasi delle gambe in particolare legate ad un incremento dell’obesità e del diabete. “Ancora poca attenzione viene prestata, nel nostro Paese, al controllo della pressione – avverte Rebuzzi – che pure aumenta con l’età (ed il nostro è un Paese di anziani) e rappresenta uno dei maggiori fattori di rischio cardiovascolare. In Italia il controllo pressorio della popolazione è ben lungi dall’essere ottimale, visto che circa il 40% degli ipertesi non ha livelli pressori adeguati. L’attenzione per il cibo (sovrappeso e obesità) è ancora scarsa, soprattutto in giovane età. E le ripercussioni dell’uso e abuso di droga (cocaina in particolare) cominciano ad avere un peso consistente tra gli under 40. L’effetto, a breve termine, della cocaina riguarda soprattutto il sistema nervoso centrale. Ma le conseguenze più pesanti, e spesso trascurate dello stupefacente, riguardano l’apparato cardiovascolare. Questa droga, nella società occidentale consumata principalmente per via inalatoria (sniffandola), può giocare brutti scherzi al cuore”. “Ma torniamo alla bella notizia: per quali ragioni, dunque, possiamo contare su una ridotta immunità? Sicuramente negli ultimi anni c’è stata una maggiore attenzione alla prevenzione, specie quella primaria (nei soggetti sostanzialmente senza malattie cardiache). In particolare lo stressare l’importanza di una corretta alimentazione con riduzione dei grassi animali – ricorda Rebuzzi – e un aumento dei vegetali ha dato i suoi frutti. Accanto a questo va registrata anche la maggiore disponibilità, in buona parte del Paese, di strategie terapeutiche importanti quali ad esempio l’angioplastica nell’infarto miocardico acuto che ha ridotto notevolmente la mortalità di questa patologia. Ed in aggiunta l’introduzione di farmaci più specifici e più efficaci”. “E forse, diciamolo, ha giovato il contributo di giovani medici ed infermieri più entusiasti, preparati e motivati, come tutti hanno recentemente potuto constatare. Una sottolineatura riguarda il fumo. In calo le patologie cardiache legate alla sigaretta. Sono, infatti. da noi diminuiti i fumatori. Soprattutto gli uomini. Fino a poco più di un decennio fa i più colpiti al sistema cardiocircolatorio”, conclude il cardiologo.