Spallanzani-ReiThera, ecco perché abbiamo bisogno di un vaccino italiano

È iniziata a gennaio con l’annuncio del taglio del 75% delle forniture europee da parte di AstraZeneca, è proseguita con il -30% di Pfizer, ed è finita con lo stop di Moderna: in vista del traguardo, la corsa al vaccino contro il Covid-19 si è trasformata in una fuga precipitosa. Nelle ultime settimane si sono susseguiti comunicati al vetriolo tra la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, e i rappresentati delle aziende farmaceutiche che hanno lasciato nell’incertezza milioni di cittadini.

Best effort”

A novembre del 2020 Pam Cheng, vicepresidente esecutivo per le operazioni globali della britannica AstraZeneca, rassicurava in merito alla capacità dell’azienda di fornire fino a 3 miliardi di dosi del vaccino a livello globale. Oggi Sandra Gallina, negoziatrice dei vaccini per l’Ue rileva che esiste un “vero problema” con AstraZeneca, in quanto era il vaccino per il quale si prevedevano consegne massicce. Pare evidente che non tutto sia andato come previsto quando la Commissione Europea ha stanziato 336 milioni di euro in favore dell’azienda per opzionare il vaccino mentre era ancora in fase di sperimentazione. Una scommessa che fino all’inizio dell’anno sembrava vinta.
Poi cosa è successo? Il 26 gennaio il Ceo di AstraZeneca, Pascal Soriot, in risposta alle pressioni di von der Leyen ha sottolineato piccato che, in merito alle forniture, nel contratto è riportato chiaramente la dicitura “best effort”, cioè “faremo del nostro meglio”. Nulla di più. La consegna del vaccino di Oxford proseguirà invece senza intoppi nel Regno Unito. Sempre Soriot ha chiarito che il governo di Boris Johnson aveva firmato un contratto antecedente di tre mesi rispetto a quello stipulato con l’Ue, pertanto, davanti alla difficoltà di produzione sarà privilegiato il Regno Unito. Ora l’Europa ha un grave problema: nonostante l’importante impatto mediatico del Vaccine-day, tutti i Paesi sono stati costretti a una battuta d’arresto, con grave danno per l’economia dell’eurozona. Rivedere le campagne di vaccinazione, che oggi proseguono a singhiozzo è quindi una necessità, ma può essere anche l’occasione per riscrivere il ruolo dell’Italia nel contesto globale.
La soluzione è chiara: vaccinare tutti il prima possibile. Ma non è semplice davanti alle 8 milioni di dosi in meno che si vedrà recapitare il nostro paese. Appare chiaro quanto i vaccini siano diventati materia di competizione geopolitica e merce sempre più preziosa e ambita, al punto che la loro commercializzazione e produzione stia assumendo le sembianze di un pericoloso oligopolio. Se i contratti possono venire stracciati con un semplice “abbiamo fatto del nostro meglio”, come può un Paese costruire su basi tanto malferme la propria ripresa economica? L’Italia, però, grazie all’iniziativa del Ministero della Ricerca, ha risposto e scelto di investire su sé stessa.

La variante Italiana

La vicenda AstraZeneca mostra chiaramente la necessità per l’Italia di essere indipendente nell’ambito della filiera vaccinale. Una strategia che il Ministero dell’Università e della Ricerca, guidato da Gaetano Manfredi, e il dicastero della Salute retto da Roberto Speranza, hanno deciso di abbracciare pienamente attraverso l’investimento in un vaccino italiano, lo Spallanzani-ReiThera. Definito “autoctono” da Domenico Arcuri, commissario all’emergenza Covid e Ad di Invitalia. È proprio con la sua partecipata per gli investimenti e lo sviluppo d’impresa che lo Stato è entrato nel capitale dell’azienda ReiThera. La speranza di Arcuri è che la produzione italiana si aggiunga a quella realizzata all’estero “rafforzando la capacità di risposta nazionale alla pandemia e accelerando così l’uscita dalla crisi”.
L’azienda ReiThera, come ha spiegato l’Ad e co-fondatrice Antonella Folgori, ha iniziato a lavorare al vaccino nei mesi più bui della pandemia presso lo stabilimento di Castel Romano. Qui, grazie alla collaborazione con l’Istituto Spallanzani di Roma è stato messo a punto il vaccino Grad-Cov-2, giunto alla seconda fase di sperimentazione e per il quale è prevista la prima somministrazione a settembre.

Un matrimonio benedetto anche dal virologo e presidente dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), Giorgio Palù, il quale ha affermato: “È giusta l’entrata nel capitale aziendale con soldi pubblici”, anche perché si tratta di una iniziativa favorevole a molti giovani che potranno “dedicarsi alla ricerca e trovare anche uno sbocco occupazionale”.

I giovani sono al centro del pensiero anche del ministro Gaetano Manfredi, una sensibilità sviluppata già durante l’esperienza di rettore dell’Università Federico II di Napoli. Se da un lato l’avvento della pandemia sembrava avere bloccato ogni attività, oggi il ministro ha scelto di investire tutto sulla ricerca e sui giovani come motori del sistema-Paese. “Ora arriva questo protocollo, in cui credo fortemente – ha affermato il ministro durante la presentazione del protocollo che ha dato avvio all’iniziativa – Sia perché indispensabile per contribuire a superare l’emergenza che sta tormentando il nostro Paese, sia per affermare una volta di più il prestigio internazionale della nostra ricerca, rendendola protagonista nella corsa globale al vaccino. Non è un caso se anche durante questa emergenza così drammatica stia emergendo la centralità della ricerca per risolvere i problemi dei cittadini. In Italia abbiamo scienziati formidabili, capaci e competenti, il cui lavoro è fondamentale per sconfiggere il coronavirus e costruire un nuovo futuro per il paese”.

Un proposito ambizioso come quello di un vaccino italiano può essere l’occasione giusta per mettere un argine anche allo sbilanciamento tra ricercatori italiani espatriati e ricercatori stranieri che scelgono di lavorare nei centri italiani: il futuro è nella ricerca, ma solo se supportata da una filiera stabile e attrattiva. Un obiettivo a lungo termine che non potrà essere raggiunto senza implementare il rapporto tra ricerca e applicazione pratica, ambito in cui l’Italia è ancora carente. La partnership tra Spallanzani e ReiThera è il primo passo verso un rafforzamento di questo sistema.

Con i suoi 13 miliardi di export l’industria farmaceutica ha un peso specifico importante nel sistema produttivo del Lazio, ricorda il presidente della Regione Nicola Zingaretti, che attraverso il matrimonio tra Spallanzani e ReiThera punta a rafforzare l’economia regionale, e, di riflesso, nazionale. Non c’è infatti solo il Lazio: anche il presidente dell’Abruzzo, Marco Marsilio, nel corso di una videoconferenza dedicata proprio al taglio delle forniture vaccinali ha dichiarato: “Siamo pronti a fare la nostra parte sia economicamente sia mettendo a disposizione del progetto Spallanzani-Reithera i nostri laboratori, ricercatori e università”. Il governatore abruzzese ha lanciato un appello alla coesione attraverso lo “sforzo corale di tutte le Regioni”, tanto più che ReiThera ha avviato una campagna di assunzioni per il sito di Castel Romano, bisognoso di almeno 40 nuovi ricercatori.

Come ha rilevato il presidente del Consiglio Superiore di Sanità, Franco Locatelli, con un simile progetto “l’Italia mostra di essere un Paese in grado di giocarsi le sfide biotecnologiche più importanti in campo medico”. Un banco di prova anche per l’industria, come sottolinea il presidente della Camera di Commercio di Roma Lorenzo Tagliavanti. Il lavoro congiunto di Spallanzani e ReiThera, spiega Tagliavanti è “la dimostrazione che anche nel nostro territorio è possibile creare una filiera di ricerca e di eccellenza”.

Davanti all’entusiasmo trasversale di politica e mondo dell’impresa, le polemiche che hanno colpito l’affaire ReiThera appaiono circoscritte a un particolare circuito mediatico, e concentrate più intorno alla figura del commissario Arcuri che sul progetto in sé.

ReiThera: logistica, trasparenza e indipendenza

Il vaccino di ReiThera utilizza l’adenovirus di gorilla, una tecnologia già largamente applicata in quest’ambito e ben nota ad Alfredo Nicosia, tra i fondatori di ReiThera e tra i gli inventori del vaccino anti Ebola. Il vaccino Made in Italy basato su vettori adenovirali è simile a quello proposto dai laboratori di Oxford. Rispetto all’utilizzo dell’Rna messaggero, impiegato da Pfizer e Moderna, il vaccino con adenovirus è molto più stabile e può essere conservato a -4 gradi, la temperatura di un comune frigorifero. Una caratteristica che permette di aggirare il grave problema della catena del freddo. Volendo restare in Italia, solo a Forlì sono andate perse già a novembre oltre 800 dosi del vaccino Pfizer per un guasto a un congelatore.

Secondo i dati dello studio di fase uno presentato a gennaio, il Grad-Cov-2 ha dimostrato di avere un’efficacia del 90% e nessuna reazione avversa significativa. In più, ha spiegato Stefano Colloca, co-fondatore e responsabile dello sviluppo tecnologico di ReiThera, “Il vantaggio del nostro vaccino sarà l’efficacia con una monodose”. Inoltre, come ha evidenziato il direttore sanitario dell’Istituto Spallanzani di Roma, Francesco Vaia, al momento nessuno conosce l’effettiva durata della copertura anticorpale dei diversi vaccini, e se diventasse necessario vaccinarsi ogni anno ci sarà bisogno di un’Italia autosufficiente nella produzione.

Più importante ancora della logistica, è la questione della trasparenza. Se i contratti con big pharma sono diventati carta straccia, gli accordi con un’azienda partecipata dello Stato non possono essere cestinati con un’alzata di spalle. Per questo, dopo il primo sostegno di 8 milioni di euro da parte del ministero della Ricerca e della Regione Lazio, Arcuri è subentrato con Invitalia acquisendo il 30% di Reithera e affiancandosi al socio di maggioranza, l’azienda svizzera Kereis.

Il finanziamento italiano nel progetto, del valore totale di 81 milioni di euro, consterà di due fasi: la prima dedicata allo sviluppo del vaccino, mentre la seconda avrà al centro l’implementazione del Tecnopolo di Castel Romano, dove ha sede lo stabilimento di produzione ReiThera.

La possibilità di produrre nel cuore dell’Italia il vaccino è connessa a numerosi benefici in termini di indipendenza e controllo delle risorse: in caso di difficoltà effettive nella produzione il governo italiano non sarebbe costretto a rivedere completamente la propria campagna vaccinale, come invece è stato obbligato a fare all’inizio del 2021.

Nei giorni in cui si rincorrono le polemiche tra i governatori di Regione per la distribuzione delle scarse risorse vaccinali – arrivando addirittura a proporre un metodo basato sul Prodotto interno lordo – avere il controllo sulle scorte e la loro suddivisione rappresenta un beneficio anche in termini di coesione sociale.

A ciò si aggiunge che i rigidi controlli all’export di vaccini verso soggetti extracomunitari, annunciati il 29 gennaio dalla Commissione Europea, potrebbero spingere le aziende a spostare la produzione in Paesi terzi, ad esempio in India, già leader del settore a livello globale. Un gioco involontariamente favorevole a chi non è più soddisfatto degli accordi stipulati con von der Leyen. Ai primi di febbraio il Sudafrica ha ricevuto senza intoppi l’antidoto Pfizer pagando un prezzo a dose due volte e mezzo superiore a quello strappato dall’Ue.

Se sarà più facile vaccinarsi fuori dall’Ue, mette in guardia il Fondo monetario internazionale, non sarà possibile alcuna ripresa. Solo trasparenza e indipendenza possono evitare che l’Italia vanifichi tutti gli sforzi fatti sino ad adesso. Non è un’esagerazione rimarcare che a un anno dall’inizio dell’emergenza sanitaria, l’unica operazione politica concreta messa in atto dal governo è stata proprio quella in favore del vaccino italiano.

Interesse nazionale o nazionalismo vaccinale?

A fine gennaio Boris Johnson, che grazie ad AstraZeneca la partita sui vaccini la gioca in casa, ha chiesto all’Europa di non lasciarsi andare al nazionalismo e rispettare il piano europeo d’acquisti. Un vaccino auto prodotto è “nazionalismo vaccinale”? Lo sarebbe se l’Italia acquistasse vaccini al di fuori dei contratti stipulati dall’Ue, entrando in concorrenza con essa. Oppure se un Paese membro introducesse un vaccino che non è passato al vaglio dell’Agenzia europea dei medicinali (Ema), come è successo quando l’Agenzia ungherese dei farmaci ha dato il via libera all’immissione in commercio del vaccino russo Sputnik V.

È invece pienamente nelle prerogative dell’Italia utilizzare le proprie risorse per realizzare un bene che potrà essere poi condiviso con il resto della comunità europea. Con una produzione di 100 milioni di dosi l’anno, stima Antonella Folgori su La Stampa il 9 gennaio, il fabbisogno italiano sarà pienamente appagato in pochi mesi, con la possibilità di supportare anche i Paesi vicini.

Quella per il vaccino è già, dunque, una battaglia geopolitica, e sarebbe tendenzioso e scorretto scambiare l’interesse nazionale con il nazionalismo.

Diventare interlocutori credibili, grazie a un’azione come quella condotta da Manfredi, significa recuperare lo storico svantaggio causato dalla instabilità italiana e presentarsi in una nuova veste ai tavoli delle trattative aperti in Europa. Un vaccino nostrano non causerà il distacco dell’Italia, ma anzi, renderà il dialogo più efficace.

Potrebbe essere l’occasione giusta per smettere di fare la Cenerentola dell’Europa e ritrovare un ruolo di primo piano nell’ambito della ricerca e della politica.

di

Maria Neve Iervolino e Alessandro Sansoni